Le grotte

  1. Cueva del Puerto (Calasparra, Murcia)
  2. Sviluppo: 4389 m

    Dislivello: -114 m

    La cronaca della visita di Paolo Testa: la cavità si apre in una vasta zona carsica: sembra di essere in mezzo ad un deserto, ed il caldo accentua la nostra impressione. Parcheggiamo i furgoni davanti ad una specie di rifugio che domina la vallata. Esso funge da bar per i turisti che visitano la grotta. Ci cambiamo, e gli amici spagnoli dicono di metterci soltanto le tute, perché la grotta è calda: 26°! Entriamo dall’ingresso "originale", scoperto nel 1968 dal Grupo Espeleologico Ciezano (G.E.C.A.): un saltino un poco stretto ci immette in una serie di cunicoli fino ad arrivare in ambienti

    piuttosto ampi. La roccia, un calcare dolomitico del Cretaceo superiore (Turoniano), si presenta molto bianca e pulita, cosa piuttosto rara in grotta. Superata la Sala de los Clastos (inutile la traduzione) arriviamo in una zona piuttosto concrezionata dove attraversiamo il tratto turistico. Un secondo ingresso è stato scoperto nel 1988, in seguito ampliato per consentire l’ingresso ai turisti. Scavalchiamo una ringhiera e ci troviamo nella Sala de los Bloques, molto ampia e lunga. Scendiamo un saltino di sette metri attrezzato con un solo spit (cips!) giungendo in un ambiente, chiamata El Desierto, il cui pavimento è costituito da sabbia. Un passaggio ci immette nella Gran Diaclasa, imponente con i suoi centotrenta metri di lunghezza, settanta di altezza e quindici di larghezza, è il punto più profondo della cavità. Al ritorno, durante il disarmo del pozzo da sette metri, faccio notare a Manolo i criteri di sicurezza, e come risposta ricevo un bel sorriso. Passiamo da un’altra zona piuttosto labirintica chiamata El Laberinto. In un traverso su di un pozzo notiamo che è attrezzato con due delta da 5 mm. Una fessura ci porta in una sala stupendamente concrezionata dove ci sbizzarriamo a scattare foto. Risaliamo uno pseudo-pozzo attrezzato con corde da undici millimetri attrezzate su attacchi naturali.

     

  3. Sima del Pulpo (Cieza, Murcia)
  4. Sviluppo: 4780 m topografati, circa 11.000 m esplorati

    Dislivello: -114 m

    La cronaca della visita di Giuseppe Priolo: La cavità si apre presso Losares, nella Sierra de La Palera ed è stata scoperta nel 1992 dal Grupo Atalaya de Espeleologia y Montaña (Cieza). Questa grotta è caratterizzata dalla spettacolarità degli ambienti. Le esplorazioni sono ancora in corso e le visite alla grotta sono regolamentate, anche per motivi di protezione. Vi si accede attraverso una botola semi distrutta all'esterno della quale si trovano due piastre in acciaio inox con fix Hilti inox da ø10 mm. Un primo frazionamento si trova appena sotto la botola sulla destra guardando l'armo esterno. Da questo punto ha inizio un toboga, cunicolo freatico, che conduce ad un secondo frazionamento con un chiodo rock da ø 8 mm, anche quest'ultimo punto d'ancoraggio si trova sullo stesso lato del precedente. Un saltino di circa sei metri, armato sul chiodo rock, conduce a ad un piccolo ambiente dove, attraverso una serie di strettoie si procede sino all'inizio di un pozzo di circa 16 m. Non è necessario un traverso di avvicinamento, l'ancoraggio è costituito da due chiodi rock da ø 8 mm di cui uno a tetto, montato l'armo con un Garda si scende per circa 6 m, sulla sinistra di chi scende guardando verso l'armo di partenza, si trova un chiodo rock da ø 8 mm dove, installato un anello è possibile frazionare. I locali si limitavano a montare un deviatore (L). Sceso questo piccolo pozzo si procede alla sinistra della corda, in discesa, attraverso un cortina di stalagmiti e stalattiti. Si susseguono alcuni ambienti ed alcune strettoie, spesso ornate da splendide stalattiti e da vele varicolori, tra le quali si osserva il Pulpo e si fa notare per la dimensione la strettoia detta Superman (ovvia la deduzione). Dopo poco, superati alcuni grossi blocchi, si arriva ad un pozzo di circa 20 m, quasi sempre appoggiato. Si arma un traverso di avvicinamento utilizzando un chiodo rock da ø 8 mm e quindi con un Nodo del Soccorso o con un Garda si attrezza il pozzo. Si scende per circa 15 m sino ad una cengia dove si fraziona utilizzando una grossa stalagmite posta alla destra della corda. Si scende per altri 6 metri sino alla base. Si prosegue alla sinistra della corda superando un passaggio un po' esposto sino ad arrivare alla zona detta del Gran Desierto (Gran Deserto), una affascinate sala dove il pavimento è di sabbia costituita da millimetriche scaglie di calcite. Nell'area è stato delimitato il camminamento con una fettuccia rossa al fine di evitare il calpestio della calcite con la conseguente frantumazione. Superando alcune strettoie, si arriva al Pequeño Desierto (Piccolo Deserto). Si prosegue attraverso altre strettoie, meno anguste delle precedenti, sino ad una risalita che conduce ad una buca da lettere che dà accesso ai rami nuovi. Si continua attraverso gallerie piuttosto anguste e cunicoli sino ad arrivare al Ramo della Farina, caratterizzato da una polverosa e bianchissima sabbia dovuta al degrado chimico-fisico della calcarenite che contiene gran parte della cavità. Si procede ancora sino ad arrivare ad un piccolo salto che conduce sulla sinistra ai rami nuovissimi, ancora in esplorazione, e sulla destra all'attuale livello della piezometrica e quindi all'acqua. Si esce percorrendo la stessa via sino alla buca da lettere e quindi discendendo parzialmente il salto che la separa dal piano di calpestio, si percorre una diaclasi sino ad arrivare al Gran Desierto. Da questo punto si esce percorrendo integralmente la via dell'andata.-

    Scheda d'armo:

    Pozzo

    Dislivello

    Corda

    Ancoraggi

    Note

    25 m

    30 m

    2 fissi esterni;

    1 fisso appena sotto la botola;

    1 rock a circa 20 m dall'ingresso.

    1 anello, 4 plg, 1 cordino.

    16 m

    20 m

    2 rock alla partenza, uno a tetto;

    1 rock a circa 6 m.

    3 anelli, 3 plg, 1 cordino.

    20 m

    25 m

    1 rock per traverso avvicinamento;

    2 rock alla partenza;

    1 armo naturale a circa 15 m dall'attacco.

    3 anelli, 4 plg, 1 fettuccia.

    8 m

    10 m

    1 rock in una marmitta rovesciata in cima alla risalita.

    1 anello, 1 plg.

     

     

  5. Sima de Benís (Cieza, Murcia)
  6. Sviluppo: >763 m

    Dislivello: -223 m (-360 ?)

    La cronaca della visita di Paolo Testa: Nei giorni precedenti la visita si è discusso alcune volte su questa cavità, in particolare modo sulle prospettive esplorative. Ma nell’informarci sulla scheda tecnica alcuni dubbi ci hanno lasciato perplessi. Così è scaturita un’uscita di riarmo della cavità (richiesta proprio dagli amici spagnoli), vista la precarietà della attrezzamento, messo in posa durante la sua esplorazione avvenuta nel 1996 ad opera del G.E.C.A. La cavità, alla luce delle ultime esplorazioni dovrebbe raggiungere i -360 m. di profondità (topografati però fino a –223 m.), diventando così la seconda cavità della regione. Dopo venti minuti di sterrato nella sierra calcareo-dolomitica del Benìs giungiamo vicino all’ingresso. Ma il nostro spirito viene subito freddato dalla dimenticanza di Antonio, lo scopritore della cavità e primo esploratore, dei sacchi di corde! Per fortuna avevamo delle corde lasciate per caso sul furgone. Anche se non bastavano decidiamo di entrare lo stesso. Una serie di cunicoli con due brevi salti (p.7 e p.8) ci portano sulla diaclasi dove inizia tutto il tratto verticale. Notiamo subito che manca un attacco a monte per fissare la corda per il traverso, il quale porta dopo circa una dozzina di metri all’attacco verticale (!?). Iniziamo l’attrezzamento con fix da ø 10 mm forniti dai nostri amici spagnoli. Infatti la roccia è piuttosto morbida e non crea nessun problema. A circa quindici metri dall’inizio della verticale la corda sfrega e non vi è nessun frazionamento! Alla base del primo pozzo (p.25) inizia una galleria freatica inclinata, la quale continua in verticale (inizio del p.35) svoltando a novanta gradi. Anche qui manca un attacco e provvediamo immediatamente! Il pozzo si presenta ben lavorato dall’acqua e soprattutto ampio. Altri due frazionamenti (che non c’erano!) e ci fermiamo all’attacco del terzo pozzo (p.35): lo attrezziamo e torniamo fuori per la mancanza di materiali (sigh!). Disarmiamo lasciando gli attacchi fissi (come richiesto dagli spagnoli). Sotto i cunicoli d’ingresso incontriamo Manolo e Vincenzo con alcuni sacchi di corde, ma in mancanza di fix e placchette decidiamo di uscire. Aspettiamo almeno un paio d’ore sotto il sole cocente prima che arrivi il pullmino a prenderci. L’avventura è solo rimandata.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  7. Sistema Hundidero - Gato (Ronda, Malaga)
  8. Sviluppo: 7818 m

    Dislivello: 212 m (-162/+50)

    La storia di Maria Luisa Perissinotto: Questo complesso corrisponde al percorso sotterraneo del Rio Gaduares (o Campobuche) che si inabissa nella Gola di Hundindero per riapparire , dopo 4,5 Km di corso ipogeo, attraverso la Bocca della Cueva del Gato, e unirsi al Rio Guadario. La grotta è scavata nei calcari giurassici.

    Conosciuto da sempre per le grandi dimensioni delle sue due entrate, il complesso è citato e descritto, spesso con molta immaginazione, da viaggiatori inglesi del passato, primo fra tutti Richard Twiss nel 1772.

    Nel 1912 l’archeologo francese Henri Breuil esplorò il primo tratto della Cueva del Gato e trovò resti di ceramica Neolitica.

    Tra gli anni 1920 e 1923 la Compañia Sevillana de Eletricidad facilitò l’accesso alla grotta per realizzare delle opere di presa del rio Gaduares; ma essendo la roccia fratturata e permeabile, tutta l’acqua immagazzinata durante la stagione piovosa filtrava in breve tempo nel sottosuolo rendendo inutile l’opera di presa. La Compañia realizzò allora una serie di interventi per impedire queste perdite idriche, tamponando alcune zone delle gallerie con cemento, ma l’acqua trovò altre vie per infiltrarsi in profondità; il progetto fu abbandonato, ma l’idrologia della grotta è rimasta alterata. Durante la realizzazione di questi lavori, la grotta fu attrezzata con ponti, passarelle e luce elettrica. Ancora oggi in alcune parti della grotta si possono osservare i resti di questa titanica e inutile opera.

    Nel 1965 il gruppo G.E.O.S di Siviglia inizia l’esplorazione sistematica della cavità, che si conclude nel 1968 con la traversata integrale del complesso. Nel 1968 avviene anche il primo incidente, fortunatamente senza conseguenze tragiche. In seguito sono avvenuti altri incidenti, con un totale di tre vittime.

    Per questo complesso però la definitiva conoscenza da parte del mondo speleologico è avvenuta nel 1971, in occasione del V Campo Nazionale di Speleologia, che è ne ha fatto il principale obiettivo.

    La proliferazione delle esplorazioni e soprattutto la quantità di domenicali chi si spingono nella Boca del Gato ha causato l’accumulo di grosse quantità di immondizia. Gli speleologi più sensibili a questa situazione hanno realizzato campagne di pulizia e divulgazione sull’ecologia del mondo sotterraneo.

    La galleria principale corrisponde al corso ipogeo del rio Gaduares che si è aperto la strada attraverso il massiccio di calcare giurassico seguendo essenzialmente le diaclasi e i piani di stratificazione. Il carattere torrenziale dell’acqua ha dato origine ad una morfologia di grandi cañones e sale che in alcuni punti arrivano a 70 metri di altezza.

    La cronaca della visita di Paolo Testa: Partiti venerdì verso l’Andalucia con una sosta veloce a Granada ci "accampiamo" nei pressi della Cueva del Gato, stremati dal lungo viaggio. Al mattino si uniscono a noi altri speleologi della Federaciòn Andaluza e ci approssimiamo all’ingresso dell’Hundidero, situato in una grande e profonda gola. Questo complesso, lungo 4.5 km e di notevoli dimensioni in pratica è un traforo idrogeologico scavato nei calcari del giurassico, e corrisponde al percorso sotterraneo attuale del Rio Gaduares, il quale creò il traforo seguendo le diaclasi e i piani di stratificazione. L’abbondante apporto idrico ha creato grandi canones e sale, alte fino a settanta metri. Oggi,il rio si inabissa nella gola dell’Hundidero sbucando poco dentro alla bocca della Cueva del Gato, gettandosi poi nel Rio Guadario, il quale passa a poche decine di metri dalla cavità.

    All’ingresso indossiamo le mute e incominciamo la discesa. Poco dentro troviamo un salto di cinque metri che finisce nel "Primero Lago". Laci e Ottavio "varano" i canotti (uno per Laci che non ha la muta, l’altro per il trasporto dei sacchi). Avanziamo tra ambienti asciutti e laghetti (vi risparmio i nomi), giungendo ad una enorme marmitta del diametro di quindici metri circa, chiamata "Lago Blanco". Il percorso ci impegna tra camminate, nuotate e calate. Arriviamo alla grande "Sala de los Gours", una grande scalinata molto alta e ampia con decine di vasche, alcune delle quali grandi qualche metro. Ad un ennesimo laghetto succede che sprofondiamo in un fango terribile, che ci crea qualche problema, soprattutto nel riavere gli scarponi! Sbuchiamo in un gigantesco salone chiamato "Plaza de Toros" per la sua forma circolare (deformazione Ispanica). Mentre con i nostri frontali illuminiamo un gigantesco drappo notiamo a circa quaranta metri di altezza una grande galleria circolare: chiediamo a Manolo e agli altri dove porta, ma un’aria interrogativa circola nei loro sguardi. Guardiamo dalla parte opposta e ne vediamo un’altra uguale: il salone ha intersecato un freatico,e a quanto pare è inesplorato! (trapano e scalette, dove eravate….). In un’ennesima sala ci troviamo davanti alla "Gran Estalagmita", alta più di quattro metri e con un diametro di sei. Ancora un po’ di duathlon (per il triathlon ci mancava la bicicletta) e iniziamo la "Galerìa del Aburrimiento" (questa ve la traduco: la galleria della noia). Ed avevano ragione: lunga un km camminando su clasti, e per di più con la muta! Un’altra grande sala con grandi accumuli di sabbia finissima ("sala de los Dunas") ci porta all’ultimo tratto della cavità, tra marmitte e laghetti. Vediamo la luce che entra dal grande ingresso del Gato e a poche decine di metri dall’uscita la "Surgencia Activa", attualmente piuttosto scarsa come portata. Nella cavità vi sono alcuni rami laterali ancora in esplorazione, ma i molti sifoni presenti rallentano l’attività. All’uscita un bel laghetto ci invita ad un bagno rinfrescante, con tanto di tuffo modello "Canyoning". Le sette ore di "canyoning ipogeo" meritano una succulenta cena accompagnata da una rigenerante dormita. (P.T.)

     

     

  9. Cueva de los Chorros (Riopar, Albacete)
  10. Sviluppo: 22560 m

    Dislivello: ± 150 m

    La cronaca della visita di Paolo Testa: Torniamo in Castilla - La Mancha e giungiamo a Riopar, dove conosciamo Federico, un tipo incredibile che come lavoro accompagna gente in grotta, in torrente, vie ferrate, organizza vacanze avventura all’estero, gira video…. Giunti alla Sierra del Calar del Mundo una "Ranger" ci fa pagare il parcheggio (siamo in una pineta!) e ci chiede se abbiamo il permesso per entrare in grotta! Dopo venti minuti di cammino ci affacciamo sulla vallata e vediamo il grande ingresso situato a circa cinquanta metri d’altezza, da cui viene a giorno il Rio Mundo, affluente del Rio Segura e principale esuttore dell'area carsica nota come Calar del Mundo. Immaginiamo lo spettacolo di quando è in regime di piena. Le prime esplorazioni sono iniziate nel 1965 ad opera di alcuni gruppi speleologici di Alicante, incontrando non poche difficoltà per i molti sifoni presenti, quasi tutti by passati tramite risalite. Nel 1988 viene scoperto un nuovo ingresso (Acceso Espeleuka) il quale permette di raggiungere le gallerie superiori senza passare dal ramo attivo. Ovviamente le esplorazioni sono tuttora in corso. Ci portiamo all’ingresso, il quale ha un diametro di circa quindici metri. La cavità è scavata nel calcare e nella dolomia del Cretaceo Superiore (Senoniano), rocce che essendo molto scure ci creano non pochi problemi a livello fotografico, oltre al fattore acqua (vedi flash di Paolo allagati…). Proseguendo nella galleria principale, dopo dieci minuti ci troviamo davanti al primo sifone, che by passiamo tramite una arrampicata, portandoci in una zona superiore fossile. Un saltino ci riporta in acqua al di là del sifone fino ad un’altra risalita ad altri rami superiori. Attraversiamo (a nuoto) un laghetto ed arriviamo ad una galleria di modeste dimensioni con la scalinata formata da vaschette bianchissime piene di acqua verde smeraldo. Altri due laghetti e giungiamo al "Gran Sifòn", un laghetto con un "buco nero" profondo ottanta metri ancora inesplorato (sigh). Torniamo all’esterno ed andiamo a casa di Federico dove ci aspetta una succulenta cena.

     

     

     

     

  11. Cueva de Neptuno (Cala Aguilar – Mazarron –Murcia)

Sviluppo: 22560 m

Dislivello: ± 150 m

La cronaca della visita di Giuseppe Priolo e Paolo Testa: partiti da rifugio di Cieza, dopo più di un’ora di viaggio prendiamo una carrareccia, la quale dopo dieci minuti diventa impraticabile per i nostri furgoni. Parcheggiamo e Manolo fa la spola con il suo fuoristrada. Parcheggiata anche la jeep ci carichiamo gli zaini e proseguiamo per il sentiero che si snoda in costa, a circa ottanta metri di altezza sul mare. Lo scenario è da rivista viaggi: mare calmo, acqua trasparente, posto selvaggio e nessuno intorno (a parte noi). Se il panorama è mozzafiato la geologia è da trattato; si susseguono vulcaniti, calcari, metamorfiti di vario grado, pieghe che sembrano foto di un testo di geologia strutturale e sovrascorrimenti da fotografia. Arriviamo alla cala e lo scenario si ripete. In alternativa potevamo arrivarci con una barca, inizialmente cercata al porto ma negataci, ci hanno guardato in faccia… Risalendo per circa venticinque metri il costone nord della cala si arriva all’ingresso della cavità: un pozzo a cielo aperto che immette nella grande caverna con un salto di venti metri. Arrivati alla base del pozzo si scende un conoide di blocchi crollati sino al piccolo lago di acqua di mare collegato con il mare da una galleria allagata. Nel contempo Paolo, assistito da Giuseppe e Davide si prepara per l’immersione. Aggirando il costone e scendendo a quindici metri di profondità si trova il grande ingresso della grotta. L'ingresso sommerso è buio, ma poco dopo si vede la luce che filtra dall’ingresso del pozzo. Manolo ci informa che in questa cavità sono stati trovati diversi reperti del paleolitico. Paolo si reimmerge ed esce, così tutti (ovviamente dal pozzo). Un po’ di relax in spiaggia e ritorno al rifugio.

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